Annibale nel giudizio di uno storico romano

TESTO

Missus Hannibal in Hispaniam, statim animos militum sibi conciliavit: veteribus militibus in mentem venit Hamilcaris iuvenis: eundem vigorem in vultu vimque in oculis, habitum oris lineamentaque eadem intuebantur. Plurimum audaciae ad pericula capessenda, plurimum consilii inter ipsa pericula in eo erat. Nullo labore aut corpus fatigari aut animus vinci poterat. Caloris et frigoris aeque patiens erat, cibi potionisque modus (misura) desiderio naturali, non voluptate, finitus; vigiliarum somnique nec die nec nocte discriminata tempora; temporis id quod superesset rebus gerendis (all’azione) quieti dabatur. Equitum peditumque semper primus erat: primus in proelium ibat, ultimus excedebat. Has tanti viri virtutes ingentia vitia aequabant: inhumana crudelitas, perfidia plus quam Punica: nihil veri, nihil sancti, nullus deorum metus, nulla fides, nulla religio in eo inerat. (da Livio)

TRADUZIONE

Annibale, inviato in Spagna, subito si accattivò gli animi dei soldati; ai veterani tornò alla mente Amilcare giovane: vedevano lo stesso vigore nel volto ed enerrgia negli occhi, il contegno del viso, ed i lineamenti. In lui era  moltissima audacia nell’affrontare i pericoli e moltissima prudenza nel mezzo dei pericoli stessi. Nessuna fatica poteva affaticare il suo corpo o vincere il suo coraggio. Era egualmente resistente al caldo ed il freddo; limitato nella misura del mangiare e del bere al bisogno naturale non alla gola; i tempi della veglia e del sonno non determinati dal giorno e dalla notte; si concedeva riposo nei momenti che restavano (liberi) dall’azione. Era sempre il primo dei cavalieri e dei fanti: per primo scendeva in battaglia, per ultimo si ritirava. Enormi difetti eguagliavano queste virtù di un uomo così grande: una crudeltà disumana, una malafede più che Cartaginese: in lui non vi era nulla di leale, niente di sacro, nessun timore degli dei, nessuna affidabilità, nessuna coscienza.